Alto, magro, 25 anni a settembre. L’espressione limpida di chi ha scelto di non subire il conformismo e di dare voce alla propria libertà intellettuale ma soprattutto d’animo. Dario Rizzardi è uno spirito puro con il dono della musica. Ascoltarlo parlare di conformismo, società, cultura – con quel tono pacato e lucidissimo che ricorda i grandi pensatori – è qualcosa che ti resta dentro. Se volete conoscere questo giovane uomo e la sua arte questa sera Dario Rizzardi, l’artista del disaccordo, sarà da Fermenti (piazzetta Toniolo) alle 22.00 con la sua musica ma soprattutto con il suo messaggio sociale.
MESTRE – Diceva il grande Faber: “Io sono uno che sceglie la solitudine. E che, come artista, si fa carico di interpretare il disagio rendendolo qualcosa di utile e di bello. È il mio mestiere”.
Per descrivere Dario Rizzardi mi affido alle parole di Fabrizio De André. Dario è la solitudine dei numeri primi, è l’accordo del disaccordo, è la voce che tutti dovremmo avere per vivere in una società più consapevole e sana.
Nelle due ore in cui abbiamo parlato, non ha mai guardato il cellulare. E questo la dice lunga. Dario è un giovane che, fin dalla tenera età, ha respirato cultura maturando una profonda attitudine alla lotta di classe e al cambiamento generazionale, “quasi fosse un’eredità e al tempo stesso una responsabilità”, come precisa lui.
“Fin da piccolo ho avuto la fortuna di “respirare” l’arte: i miei genitori hanno sempre scelto viaggi culturali. Dai 5 ai 12 anni ho conosciuto tutta la pittura europea, l’archeologia, la scultura. Mio nonno mi ha fatto amare l’arte figurativa. Mia nonna, per farmi addormentare, il pomeriggio mi leggeva i poemi epici greci e cavallereschi.
Ho iniziato a scrivere le prime canzoni verso i 16 anni in modo un po’… diciamo manierista, guardando alle band inglesi dagli anni 60 agli anni 90, ma la vera svolta è arrivata intorno ai 18-19 anni con il teatro: quattro anni in cui ho veramente compreso il concetto artistico, lo studio che c’è dietro un’opera.
È stata una crisi esistenziale a portarmi a mettere insieme pezzi di letteratura con la sofferenza derivata dalle aspettative familiari e sociali nei miei confronti. Ho iniziato a individuare il concetto di sovrastruttura relativo alla mia età e al conformismo. A livello scolastico sono stato “castrato” perché ero già intellettualmente anarchico, me ne fregavo delle tracce e le adattavo al mio stile scrivendo con un tocco modernista, ma anche desueto, improvvisando qualche testo di grammelot* oltre a qualche prosimetro (genere letterario in cui prosa e versi vengono alternati in modo equilibrato ndr) così prendevo dei votacci che poi andavo facilmente a recuperare.
La scuola purtroppo non è così pura, come ogni istituzione che ci circonda, dalla politica, l’economia, la sessualità per non parlare dell’industria culturale: chi pensa di essere ‘libero’ non vede che a livello inconscio cercano di uniformarlo a cittadino modello”.
Parlaci della tua musica
“La mia musica è musica del cambiamento, che poi il cambiamento è sempre un qualcosa di un po’ “cicco” ovvero astratto, sterile.
Le mie canzoni sono invettive politiche. La società dei consumi propone “musica imposta”, io voglio mettere in discussione il consumismo attraverso storie e immagini che, alla fine, sono lo specchio della realtà.
Ma anche quando scrivo canzoni d’amore – sorride – non ce la faccio a non mettere questo tipo di elementi. Una volta si chiamava lotta di classe e anche adesso sarebbe giusto chiamarla così, perché di fatto il divario di ricchezza è aumentato ed è un dato mostruoso, significativo.
Qualche strofa delle tue canzoni?
“La verità non è una fazione: destra o sinistra, ciclicamente, alla fine propongono gli stessi temi.
Gli aerei, le bombe, i generali iraniani e tu nella tua camera fredda guardi film americani: come dire che nel tempo in cui si consuma l’amore, in cui ti guardi un film – magari per distrarti – vivi comunque in un contesto sociopolitico d’influenza culturale che non ti dovrebbe lasciare indifferente.
Bisognerebbe diventare partigiani di fronte a uno stile di vita dove ogni cosa è mercenaria
C’è questo tipo di elemento ‘sovversivo’ nella mia musica, penso ci sia bisogno di artisti che riprendano un po’ il discorso di Rino Gaetano – dove la denuncia sociale è spesso celata dietro testi apparentemente leggeri e disimpegnati – Claudio Lolli, Fabrizio De André cantori del disadattamento, di quel controcanto, di quella parte di società che sta all’ombra”.
Lo sguardo pacato, la stanchezza dopo una giornata di lavoro – Dario fa il barman per coltivare la sua arte – e queste frasi che arrivano potenti. Mi è venuto spontaneo chiedergli scusa per aver contribuito inconsciamente ad aver lasciato a lui e ai suoi coetanei un mondo distopico, una società che è un incubo per le giovani generazioni.
Questo è l’effetto Dario Rizzardi. Provare per credere. E quando gli chiedi ‘cosa vorresti dire alle persone sul concerto di questa sera’, risponde:
“Direi semplicemente di entrare da Fermenti, questa sera alle 22.00 e provare a seguire quello che faccio. Oltre alle persone già “liberate”, mi piacerebbe venisse chi non mi conosce e magari subisce passivamente quello che propone l’industria culturale”.
E qui, confesso, mi è scappato un “Amen”.
*Strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e foni privi di significato in un discorso.