“Ti ho visto, sei riconoscibilissimo col cappello”
Iniziamo dalla fine, da quando Rolando del Mela, altro collega che non vedo da troppo tempo, mi scrive questa cosa a partita finita.
In effetti, avendo passato gli ultimi 5 minuti del quarto quarto, e tutto il supplementare in piedi nel parterre a incitare o a “buheggiare” a seconda di chi aveva il pallone, capisco che l’uomo col cappello non sia passato inosservato. Ma, insomma, se il fine giustifica i mezzi, mi va bene anche essere diventato l’uomo col cappello.
Ma torniamo all’inizio. Era dal 17 maggio, dopo la seconda partita interna con la pallacanestro Livorno, che io e la direttorissima mancavamo dal Taliercio. Un’eternità.
“Passo a prenderti”
“Ok, ma non in scooter, la sciatica…”
No, non siamo più quelli di una volta.
Il cappello e la sciatica.
Il prossimo passo saranno il bastone da passeggio (ce l’ho, che non crediate) e il cinto pelvico (no, questo non ce l’ho), ma lo spirito è sempre lo stesso.
Arriviamo al Taliercio.
E si sente subito che c’è un’aria diversa.
Fa fresco!
Chi scrive ricorda delle saune clamorose nelle partita di fine stagione giocate qui.
Stavolta l’aria è fresca.
Hanno messo l’aria condizionata!
“Da tre anni, Max”, mi scrive un amico quando me ne meraviglio su Facebook.
Insomma, ci siamo allineati agli standard minimi per giocare dentro quando fuori c’è “soffego”.
Che bellezza!
Ma c’è una partita da giocare. Anzi c’è una partita da vincere. Anzi ce ne sono due, da vincere. Anzi ce ne sarebbero tre, sempre da vincere. Ma andiamo con ordine, che se no poi ci perdiamo.
A pelle la squadra di Orzinuovi, che per reminiscenze calcistiche chiameremo Orceana, non è simpatica: Avevo visto gara due in tv, e c’era mancato pochissimo che Mestre vincesse nella bassa bresciana arrivando qui sull’uno pari. Dicevo non mi è simpaticissima, l’Orceana. Dal vivo capisco meglio il perché. Protestano, molto, a ogni fischio arbitrale. Non potrei fare l’arbitro. Le partite finirebbero in fretta per mancanza di giocatori. Non potrei fare nemmeno l’allenatore. A vedere certi errori concettuali dovrebbero legarmi per non fustigare ora questo, ora quel giocatore.
Ma tant’è. Se sbagliano gli avversari a me fa sempre piacere.
Se sbagliano i miei, non mi fa piacere. Ma Mestre è una squadra molto giovane. Certi errori sono comprensibili.
Però, ragazzi, anche basta con le rimesse dal fondo buttate nel water o passate agli avversari. Ecco, lo volevo dire. L’ho detto.
La partita è stata di quelle che ti si attaccano addosso. 11 pari, con le mani quadre da tutte e due le parti nel primo quarto.
Nel secondo, Mestre, che ha recuperato Conti e Bortolin, sembra potersi allontanare. 23 a 14 a metà quarto, ma l’Orceana recupera e all’intervallo lungo chiude sotto di soli 3 punti.
A fine terzo quarto il tabellone segna 45 pari. Punteggio bassissimo. Paura, da entrambe le parti. Approssimazione. Giochi fatti come se si pensasse di essere Magic che serve un pallonetto nell’area piccola a Kareem. Si, lo so, ora gli idoli dell’Nba sono altri. Ma questi erano e restano i miei.
Troppa fretta in alcuni frangenti da parte di Mestre.
Il quarto quarto sembra essere la fine dei sogni.
Dopo 5 minuti il tabellone vede l’Orceana avanti di 10. 61 a 51.
Brutta storia.
A quel punto l’uomo col cappello, la curva biancorossa e la squadra non ci stanno. Si rialzano, e con un parziale di 15 a 5 portano la partita al supplementare.
5 minuti di incitamenti e di “buuhhh”. Questi ultimi a ogni tiro libero concesso dagli arbitri agli avversari.
Una nota di colore per il giocatore dell’Orceana che a 5 secondi dalla fine, con i suoi sotto di tre, chiedeva tre tiri liberi per un fallo non in azione di tiro.
Mi sono chiesto se fosse cambiato il regolamento nelle ultime ore.
Dalla lunetta, un tiro segnato e uno sbagliato apposta per cercare il rimbalzo. Ma la palla finisce tra le mani di un giocatore con la maglia biancorossa. E così domenica sera saremo ancora qui.
A incitare e a “buheggiare”, e a compiere ogni rito scaramantico necessario.
Come scambiarci di posto a metà partita, vero, direttorissima?