Presentato a Cannes, dove ha vinto il Grand Prix Speciale della giuria e inserito a pieno titolo nella shortlist degli oscar quale miglior film straniero, Close, diretto da Lukas Dhont è un film intimo che scava nei sentimenti autentici, mai banale e con una missione che subito diventa certezza, provocare piacevolmente attraverso la fanciullezza.
Il regista dopo il brillante Girl ha scelto due attori esordienti come protagonisti, Eden Dambrine e Gustave De Waele bravi e maturi, sorprendenti.
Lèo e Rèmi di anni ne anno dodici e corrono spensierati a lambire i campi in bicicletta con la purezza della piccola giovinezza, la vita per loro scorre “normale“ fino a quando con l’avvento delle scuole superiori qualcosa cambia, il confronto con i coetanei non è del tutto semplice e la loro perfetta diversità diventa un problema di accettazione e di identità.
Una pellicola che rivela la debolezza del manifestarsi per quello che si è o quantomeno per quello che si è stati fino ad un certo punto, quando quella irascibile linea maginot scalcia con il suo abbrivio molesto, per poi defenestrare il tutto impietosamente.
La tragica scomparsa di Rèmi a metà racconto squarcia in due il film avvolto da una forza avvolgente dove i sensi di colpa e la grande forza dell’amicizia ritraggono la transizione di genere pagata con il prezzo estremo, la vita.
Un’esistenza segnata dalla rottura dei sentimenti, dapprima isolati piacevolmente in una comfort zone dove tutto sembra magico e idilliaco ma che alla prova della maturità non trova la solidità necessaria per declamare il proprio ego, la propria inclinazione naturale senza condizionamenti di sorta.
Il rammarico dei dodici anni vissuti in maniera così sofferta rilasciano alla fine un senso di smarrimento e una serie di interrogativi su come oggi la presunta diversità può essere pagata con il prezzo più alto, senza appelli di sorta.
Close, di Lukas Dhont con Eden Dambrine e Gustave De Waele
Intravisti per voi di Mauro Lama