La notizia arriva piatta, trafelata e anche un tantino a sorpresa, anche se lo score delle prime giornate non era certo quello di una marcia trionfale.
Sinisa Mihajlovic non è più l’allenatore del Bologna e questo piaccia o non piaccia non è un esonero normale.
Il tecnico felsineo, da sempre personaggio integro moralmente, forte e schietto, sempre senza compromessi, ha il Bologna nel suo destino già dal 2008, tornando nel 2019 per sostituire Pippo Inzaghi.
I risultati? Salvezze meritate, un ottimo lavoro nello spogliatoio e tanta identità. Poi la malattia, in conferenza stampa il guerriero lo comunica con quella forza che solo lui, è l’11 luglio 2019. Il club e i giocatori sotto choc ne prendono atto. Tra rabbia e lacrime.
Le visite a sorpresa dei suoi ragazzi all’ospedale e una solidarietà unica, i pellegrinaggi al Santuario di San Luca appartengono all’amore e alla devozione, in antitesi alla brutta malattia che ha anche un nome: leucemia.
A Sinisa l’affetto fa piacere ovvio, ma uno come lui tira dritto, si ripresenta segnato, con borsalini iconici e tanta volontà stipendiata dalla forza d’animo.
La società sempre con lui, dalla fine dello scorso campionato sembrava già sul punto di cambiare, ma il fattore ambientale forse ne ha perimetrato emozioni e razionalità.
Ieri invece la favola si è repentinamente interrotta e Sinisa non è più l’allenatore del Bologna, una storia romantica, vissuta tra gioie e dolori, in perfetta simbiosi.
Sotto le Due Torri oggi è il tempo delle decisioni sofferte. Il Presidente Joey Saputo ne sa qualcosa.
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Zero Biscuit di Mauro Lama