Matteo Messina Denaro, uno dei boss più potenti e spietati di Cosa Nostra, è morto nella notte tra domenica e lunedì all’ospedale dell’ Aquila, dove era ricoverato da agosto per un tumore al colon al quarto stadio. Il criminale, che aveva 61 anni, era stato arrestato il 16 gennaio scorso nei pressi della clinica privata palermitana dove era in cura con il falso nome di Andrea Bonafede.
Messina Denaro, conosciuto con vari soprannomi come “U Siccu”, “Diabolik”, “Condor” e “Fragolone”, era latitante dal 1993 e inserito nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo. Era considerato il successore di Totò Riina e Bernardo Provenzano alla guida dell’organizzazione mafiosa siciliana.
La sua carriera criminale
La sua carriera criminale iniziò da giovanissimo, sparò il primo colpo a 14 anni, commise il primo omicidio a 17 anni e fu denunciato per associazione mafiosa nel 1989. Fu pupillo di Riina e partecipò alle stragi del biennio 1992-1993, che causarono la morte dei giudici Falcone e Borsellino, dell’attentato a Roma contro Maurizio Costanzo e delle stragi di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano.
Fu anche responsabile di altri efferati delitti, come l’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, e della sua compagna incinta Antonella Bonomo nel 1992, e il sequestro del dodicenne Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu ucciso dopo due anni di prigionia nel 1996.
Messina Denaro era anche un amante del lusso e della bella vita: indossava abiti e orologi griffati, guidava una Porsche e frequentava ristoranti rinomati. Aveva anche una figlia, Lorenza, nata nel 1996 dalla relazione con Franca Alagna, sorella di un commercialista indagato dalla Direzione Investigativa Antimafia. La figlia non fu mai riconosciuta ufficialmente dal padre e crebbe nella casa della nonna paterna a Castelvetrano.
Le reazioni nel mondo politico
La morte di Messina Denaro ha suscitato diverse reazioni nel mondo politico, giudiziario e civile. Il sindaco de L’Aquila Pierluigi Biondi ha dichiarato: “È morta una storia di sangue e violenza che ha segnato la nostra nazione”. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ha sottolineato: “La sua morte non cancella i suoi crimini né le sue responsabilità. La sua cattura è stata un grande risultato delle forze dell’ordine e della magistratura. Ora bisogna continuare a combattere la mafia con determinazione e coraggio”.