Era il calcio, quello che fin da bambini ci ha accolto, ammaliato e fatto innamorare.
Perché bastavano un cortile e due piccole porte disegnate ad arte, un pallone anche sgonfio, un paio di amici e una maglia numero 10 quella di Pelè ,che proprio oggi ci lascia ad 82 anni.
Edson Arantes do Nascimento detto Pelè, O Rey, la Perla Nera, che da calciatore si lega in maniera indissolubile al Santos vincendo il campionato Paulista per ben dieci volte anche se la storia ci consegna ben tre titoli mondiali con la maglia della nazionale carioca nel 1958, 1962 e 1970 e un record di gol segnati 1.281 in 1.363 partite che da solo parla per tutti.
1 metro e settanta di altezza per 75 kg di peso, un fisico assolutamente normale che, una volta in campo si trasformava in perfezione arrivata dal cielo, classe al diapason e talento cristallino che arrivò presto ad essere il numero uno, il calciatore più acclamato di tutti i tempi, con il solo Diego Armando Maradona in grado di insidiarlo.
La maglia numero 10, poi diventata autentico simulacro per chi ha sempre vissuto nella trequarti di campo arrivò per caso al Mondiale di Svezia causa la lista dei convocati dimenticata dalla dirigenza carioca e da allora nulla fu come prima.
Il grande carisma di Pelè nel tempo ha assunto diverse dimensioni scevre dall’estetica del rettangolo di gioco fino ad arrivare ad affermarsi come fenomeno mondiale ,come ambasciatore e punto di riferimento nell’evoluzione della società brasiliana oltre il calcio e sempre vicino ai meno fortunati.
Il fermo immagine di una carriera unica nel suo genere è quasi impossibile da scegliere ma scegliamone senza qualche imbarazzo il primo gol di testa contro l’Italia nella finale del campionato del mondo in Messico quando rimase in aria senza più scendere quasi fosse un angelo con il povero Tarcisio Burnich indifeso nello stacco che poi disse: “Prima della partita mi ripetevo che era di carne ed ossa come chiunque, ma sbagliavo“.
O’ Rey, ci mancherai.
Credit photo by Sky Tg24
Instacult di Mauro Lama