Arte, Cultura, Storia e ArcheologiaItaliaMondo

Un Veneziano nel mare Artico. La drammatica e avventurosa storia della Querina e la scoperta dello stoccafisso

10 minuti di lettura

Erano le prime luci dell’alba del 25 aprile del 1431 quando la Querina, un grande veliero mercantile, chiamato in gergo “caracca” [1], lasciò il porto sicuro di Candia, nell’isola di Creta. Isola che, fin dal 1200, a seguito della IV crociata, faceva parte della Serenissima Repubblica di Venezia.

Al comando del veliero c’era Pietro Querini, [2]patrizio veneziano, che meticolosamente scrisse il diario di quella terribile, drammatica ma, per certi versi, straordinaria avventura! [3] Un viaggio raccontato anche dai due ufficiali di bordo Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante che dettarono la loro versione al rientro a “un uomo di cultura”. [4]

Con 68 uomini di equipaggio di diverse nazionalità, la nave era diretta nelle Fiandre e trasportava un carico di 800 barili di malvasia, zenzero, cipressi profumati, pepe, spezie varie, cotone, cera e altre merci di valore.

La Querina fin da subito incontrò venti contrari e nei pressi di Cadice, per un errore del pilota, urtò gli scogli della secca di San Pietro rompendo il timone. Raggiunto il porto di Cadice il 3 giugno, il comandante organizzò tutte le attività necessarie per ripristinare il timone. Ci volle più di un mese e il 14 luglio il veliero riprese il suo viaggio. Con forte vento in poppa, la Querina proseguiva spedita lungo la rotta per le Fiandre, ma un ulteriore inconveniente tecnico costrinse il Capitano a dirigere su Lisbona per i necessari interventi.  

Ci vollero diversi giorni per rimettere in sesto la nave e il 24 settembre la Querina riprese finalmente il mare diretta a Muros (un porto a nord-ovest della Spagna) dove arrivò il 26 ottobre, fermandosi due giorni. Il tempo necessario all’equipaggio per provvedere ai rifornimenti di cibo ed acqua. Ripresa la navigazione, la sorte continuò ad accanirsi sulla nave e sull’equipaggio. Fra il 5 e il 12 novembre, doppiato il capo di Finestérre (“confine della terra “- la punta estrema nord-ovestdella Spagna) la Querina, diretta verso la Manica, fu investita da una terribile tempesta. L’impeto del vento spinse la nave fuori rotta, impedendole di raggiungere la Manica e spostandola sempre più ad ovest verso l’isola di Sarienga (isole Scilly a sud-ovest della Gran Bretagna).

La Querina restò in balia delle onde per giorni e giorni.” …Ci trovavamo così in alto mare, nella tempesta, senza alcuna possibilità di governare la nave, con le vele alzate in balia del vento che ora le gonfiava sbattendole, ora invece costringeva a poggiare, sempre fuori rotta, allontanandoci, contro la nostra volontà, dalla terra. …”[5]. La tempesta continuava a peggiorare diventando sempre più forte. L’equipaggio cercò disperatamente di ancorare la nave sul fondo legando insieme diverse cime all’ancora e per una notte lo scopo fu raggiunto. Ma poi, l’impeto delle maree e la forza del vento, spinsero alcuni marinai terrorizzati a tagliare la cima che teneva ancorata la nave. La Querina fu nuovamente in balia del mare, senza poter essere governata e, sovente, era letteralmente sommersa dalle grandi onde.

Gli uomini, immersi per metà nell’acqua, cercavano disperatamente di svuotare la barca senza riuscirci. Nonostante l’equipaggio fosse composto da marinai esperti, lo sconforto aumentava di ora in ora. Poi il mare si placò, ma per poco.  La nave ormai non era più in condizioni di navigare ed imbarcava sempre più acqua. Così il comandante e i suoi marinai, in pieno oceano, spinti dalla volontà di sopravvivere, presero la decisione di tagliare l’albero maestro che, fortunatamente, cadde in mare, per alleggerire la barca.  Speravano che l’acqua avrebbe smesso di entrare. Ma si resero conto che non era la soluzione per tentare di salvarsi. La Querina continuava ad imbarcare acqua e non era più governabile.

Così il comandante diede l’ordine di abbandonare la nave e di cercare di raggiungere terra con due imbarcazioni che avevano a bordo. Il 17 dicembre, ventuno marinai si imbarcarono su uno “schifo”, un piccolo natante a vela, e quarantasette, compresi il comandante e i due ufficiali, su una scialuppa più grande. Caricarono la poca acqua dolce rimasta, viveri e tutte le botti di vino che potevano. Dopo un giorno di navigazione lo schifo sparì dalla vista dei quarantasette marinai della barca più grande e di loro non si seppe più nulla. Ma il mare non dava tregua. Anche la grande scialuppa continuava a riempirsi d’acqua. Furono costretti a buttare in mare gran parte delle vettovaglie e a lavorare incessantemente per non perdere la barca. Senza cibo malandati, finito il vino e l’acqua dolce, costretti a bere acqua di mare, l’equipaggio era stremato e per di più esposto ad un freddo gelido. ”…Tre o più persone si muovevano al timone e a sentina, e queste pativano un freddo immenso che tu, negli agi di Venezia, non hai visto neppure quella volta che fu così intenso che il mare gelò e molta gente, camminando sul ghiaccio, accompagnò la sposa in carretto fino al marito a Marghera. …”. [6]

In diversi cominciarono a morire. Poi il 3 di gennaio videro terra e finalmente il 6 gennaio raggiunsero la riva. ” …Ci trovavamo su un’isola disabitata chiamata la isola dei Santi (arcipelago delle Lofoten), sulla costa norvegese, sotto il regno di Dazia. Diciotto uomini salirono sulla terra, due rimasero a controllare che la barca non fosse danneggiata dagli sbalzi del mare.  In un luogo meno esposto ai venti, ci ingegnammo con le pietre focaie, qualche rametto secco e due pezzi di rami ad accendere un fuoco quanto mai salutare, alla vista del quale le nostre membra ghiacciate recuperarono un po’ di sensibilità. …”[7].

Bevevano neve sciolta, si nutrivano di conchiglie e quando decisero di riprendere a navigare perché l’isola era deserta, si accorsero che la barca imbarcava acqua e non era più possibile prendere il mare.

Dopo una breve consultazione il comandante e i due ufficiali decisero di utilizzare lo scafo per costruire due piccoli ripari. Un giorno, girando in cerca di cibo, alcuni marinai si imbatterono in una capanna certamente utilizzata in estate. Erano rimasti in dodici. Dieci si misero in cammino verso la capanna, due restarono nel riparo perché non riuscivano più a muoversi.  “… Noi altri dieci prendemmo la legna ricavata dalla barca e ce ne andammo verso la casa. Io avevo anche un mio crocifisso dipinto su una piccola tavoletta di legno che mai mi aveva abbandonato, né io lui. C’era molta neve e io, che ero più debole degli altri, mi affannai moltissimo ad arrivarci, benché non fosse distante che poco più di mezzo miglio dal luogo del nostro riparo.  Una volta arrivati, ci sembrò un gran rimedio perché ci riparava dal vento e dalla neve. La pulimmo per quanto potemmo e ci mettemmo a giacere. …”.[8] 

 Il destino volle che nel corso delle quotidiane battute lungo la spiaggia in cerca di molluschi, alcuni marinai trovarono un grande pesce che li sfamò per un breve periodo anche se con non poca tensione fra di loro, bramosi di avere una parte di cibo.

Poi nuovamente l’oblio, lo sconforto, fin quando un nuovo segno del destino non diede ai superstiti una flebile speranza. Perlustrando l’isola in cerca di qualcosa di cui cibarsi, notarono la presenza di sterco di bovini e pensarono che forse avrebbero incontrato qualcuno! Fortuna volle che tempo prima, un pastore dell’isola di fronte, aveva smarrito due buoi. Su insistenza dei suoi due figli cominciarono a cercarli. Sbarcati sull’isola dei Santi, il padre rimase a guardia della  barca e i due giovani si incamminarono in cerca dei buoi, quando si accorsero che dal capanno estivo usciva del fumo.  Così si avvicinarono con cautela chiamando ad alta voce.

Chiusi nella capanna, mezzi addormentati, i marinai pensavano che quel vociare fosse in realtà il gracchiare di corvi che avevano visto numerosi. Ma poi Cristofalo Fioravante disse che si trattava di voci umane! Anche se non capivano una parola!

Stupiti della loro presenza, i due giovani tornarono dal padre e preso cibo e acqua rifocillarono i poveri marinai stremati. Poi decisero che due marinai sarebbero tornati con loro al vicino villaggio di Rusente (Isola di Rost) perché sull’imbarcazione non c’era posto per tutti. Il 3 febbraio sei barche cariche di vettovaglie tornarono a prendere tutti i superstiti. Arrivarono a Rusente e furono ospitati nelle case dei pescatori come fossero dei familiari!

E la cosa sorprendente è che a questo punto il diario del comandante e il racconto degli ufficiali prendono una piega diversa. Nonostante la difficile e precaria situazione, scatta in loro una grande curiosità per queste genti così diverse. Curiosità che li porta a proseguire la narrazione  come fosse il resoconto di un’esplorazione, con annotazioni etnografiche, regalandoci pagine a mio giudizio straordinarie.

Restarono lì tre mesi e mezzo trattati come parte della comunità.

Nel suo diario il comandante Querini li descrive come persone buone, pure di bell’aspetto senza alcun pregiudizio, pure. Racconta che le donne per andare a dormire, si spogliavano nude al loro cospetto e che il giovedì uomini e donne si recavano ai bagni termali completamente nudi senza alcun problema. Non manca di descrivere accuratamente le loro abitazioni.” … Le loro abitazioni sono fatte con legni rotondi. Hanno solo un lucernaio diritto in mezzo al soffitto. D’inverno, quando i freddi sono insopportabili, lo chiudono con pelle di pesce lavorata in modo tale che faccia passare la luce. …” [9].

Per noi inimmaginabile, credo, sia il modo in cui Pietro Querini ci racconta di come gli abitanti dell’isola di Rost educano i loro bambini al freddo. ”…I loro figli, ad appena quattro giorni dalla nascita, li mettono sotto lucernaio e lo scoprono, perché si adattino al freddo della regione, e lo sopportino meglio, e lasciano che la neve gli cada addosso, e per tutto l’inverno che noi siamo rimasti lì, dal 5 di febbraio al 13 di maggio, ha sempre nevicato.  E i bambini che sopravvivono all’infanzia sono così cotti e abituati al freddo che non se ne curano più. …”.[10]

Querini e i due ufficiali annotano anche la differenza delle ore di luce a quelle latitudini. ”… Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte. Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la luna; dal 20 maggio al 20 agosto invece si vede sempre il sole o almeno il suo bagliore…”[11].

Nel descrivere infine il tipo di alimentazione raccontano della preparazione dello stoccafisso.

” …Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabili quantità, sono chiamati stocfisi; l’altra sono passare[12], ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone (…). …» [13].

Il 15 maggio del 1432 con l’aiuto dei pescatori di Rost inizia per i superstiti della Quirina il viaggio di ritorno e dopo varie peripezie, il 12 ottobre del 1432 finalmente raggiungono la loro amata Venezia.

Il comandante ebbe cura di portare con sé un grande quantitativo di stoccafisso e secondo la tradizione più comune, fu lui a introdurlo a Venezia con grande successo. ” …stoccafisso, che godette subito di un grande successo e che i veneziani impararono ad apprezzare, sia per la sua bontà gastronomica che per le sue caratteristiche di cibo a lunga conservazione molto utile sia nei viaggi di mare che di terra, oltre che per la caratteristica di essere un “cibo magro”, così da divenire uno dei piatti consigliati negli oltre 200 giorni di magro, fissati, assieme ai cibi, il 4 dicembre 1563 data della XXV e ultima sessione del concilio di Trento…”[14].

Così quello che doveva essere un lungo viaggio con grande valenza commerciale, di cui non si avrebbe avuto più memoria, uno dei tanti per l’epoca, si trasformò in un’autentica avventura magistralmente descritta da Pietro Querini e dai Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante, i due ufficiali di bordo. I loro racconti sono una testimonianza di forza, audacia, coraggio difronte alle continue avversità incontrate, ma anche la descrizione di stili di vita di genti a loro sconosciute tanto diversi ed incontaminati, di interessanti note etnografiche non per ultima la “scoperta” di quello che diverrà un prelibato alimento a Venezia e dintorni…lo stoccafisso![15


[1] La caracca …era un grande veliero con tre o quattro alberi e bompresso sviluppato in Europa durante la c.d. “Età delle scoperte” … la caracca divenne il principale legno d’altura nel XVI secolo usata dai portoghesi per i lunghi viaggi verso l’Oceano Indiano. Venne soppiantata nel corso del XVII secolo dal galeone che si era evoluto proprio dalla caracca. Nella sua forma pienamente evoluta, la caracca fu la prima nave adatta alle lunghe tratte oceaniche, larga a sufficienza per affrontare il mare mosso e abbastanza spaziosa per portare sufficienti provvigioni. Aveva la poppa alta ed arrotondata, con cassero molto pronunciato e bompresso, e prua rinforzata da un castello. Gli alberi, di altezza differente, montavano vela quadrata davanti (albero maestro e albero di trinchetto) latina sull’albero di mezzana. Come diretta progenitrice del galeone, la caracca fu una delle tipologie di nave più importanti della storia e mantenne la sua forma, salvo lievi modifiche evolutive, nel corso dei secoli.” Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Caracca

[2]Patrizio veneziano (Nobilis Homo) della potente famiglia Querini e dunque membro di diritto del Maggior Consiglio della Serenissima.  Fu Signore nell’isola di Candia (Creta), dei feudi di Castel di Temini e Dafnes, famosi per la produzione del vino Malvasia che egli commerciava specialmente con le Fiandre. “Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

[3] Il naufragio della Querina: Veneziani nel circolo polare artico” di Piero Quirini, Nicolò De Michiele, Cristofalo Fioravante“- Pubblicato a cura di Paolo Nelli ed. Nutrimenti Mare, 2018

La relazione originale scritta dal Querini per il Senato (organo costituzionale della Repubblica di Venezia) oggi è conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

[4] Il racconto dei due ufficiali di bordo: Nicolò De Michiele, Cristofalo Fioravante, è conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia

[5] Il naufragio della Querina” dal racconto di Nicolò De Michiele, Cristofalo Fioravante op cit. pag.52

[6]Il naufragio della Querinadal racconto di Nicolò De Michiele, Cristofalo Fioravante op. cit. pagg 26,27

[7]ll naufragio della Querinadal racconto di Nicolò De Michiele, Cristofalo Fioravante op. cit. pagg 29

[8]ll naufragio della Querinadal racconto di Pietro Querini, op. cit. pagg 66,67

[9]ll naufragio della Querina” dal racconto di Pietro Querini op. cit. pag.74

[10] “ll naufragio della Querina” dal racconto di Pietro Querini op. cit. pag.74

[11] Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

[12]  È la “passera di mare” molto comune nei mari freddi del nord e nel nord-adriatico

[13]  Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

[14] Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

[15]Gli abitanti di Røst da allora hanno sempre nutrito una grande riconoscenza verso Pietro Querini, tanto che nel cinquecentesimo anniversario del naufragio hanno eretto un cippo in suo onore nell’isola di Sandøy con l’impegno e alla presenza dell’allora Ambasciatore d’Italia, Conte Alberto de Marsanich. A Røst un isolotto è stato chiamato “isola di Sandrigo“, in ricordo della cittadina in provincia di Vicenza dove si tiene annualmente la Festa del baccalà, il piatto tradizionale della cucina vicentina a base di stoccafisso proveniente dalle isole Lofoten. Per converso, a Sandrigo una piazza è stata dedicata a Røst. Nel 2017 è stato istituito il Parco Letterario Pietro Querini (litteraturpark på Røst) con il Comune di Røst e il sostegno dell’Ambasciata d’Italia. Il Parco ha iniziato la sua attività nel 2018. Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Querini

Articoli correlati
CulturaItaliaMondoVenezia

Il Berggruen Institute Europa si presenta alla Casa dei Tre Oci

4 minuti di lettura
Fino all’8 giugno il Berggruen Institute Europa riunisce rinomati pensatori europei per le prime attività alla casa dei Tre Oci a Venezia…
DigitalIstruzioneItalia

Intelligenza artificiale e sicurezza informatica, l’iniziativa IBM per la scuola

2 minuti di lettura
La sicurezza informatica rappresenta uno dei temi principali che la transizione digitale deve tenere in considerazione in quanto, accanto alle opportunità che…
AttualitàItaliaSlide-mainSociale

Da Belluno due pulmini carichi di aiuti

1 minuti di lettura
L’alluvione che ha sconvolto nelle scorse settimane buona parte dell’Emilia Romagna ha colpito moltissime famiglie e con esse anche i loro animali….