Affianchiamoci ad un atto di opportuno e dignitoso silenzio come prima risposta rispetto ad una tragedia, capitata in questi giorni, che ha catalizzato l’attenzione e diviso l’opinione pubblica sui protocolli ospedalieri vigenti partoriti dall’Oms, che “consentono” la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza per favorire l’allattamento.
Qui non si parla di egoismo, di insensibilità o di noncuranza, ma di un profondo abisso senza luce nel quale una madre può precipitare a causa della perdita di un figlio, un dono così prezioso ed inestimabile che la vita offre.
Un dramma condiviso da diverse madri che hanno sentito riaffiorare sotto pelle tutti quei ricordi di estrema gioia e trepidazione nello stringere a sè un sogno realizzato, da far convivere unitamente con la progressiva riduzione delle forze e capacità nell’accudire quella minuscola creatura nei primi giorni del puerperio, con la sensazioni di forte fatica e stanchezza conseguenti ad un impiego di energie fisiche e mentali superiori al consueto.
Ciò che rimane da tutto questo è un evidente sacrificio dovuto, ma votato all’amore che la maternità risalta in tutti i suoi aspetti.
Per tale motivo sento fortemente di essere solidale con quella mamma che vive la sua disperazione nell’ossessiva atrocità della morte del figlio tra le sue braccia.
Quella solitudine interiore arriverà e colpirà in modo devastante, tanto da portare con sè il peso opprimente di tutte quelle responsabiltà che a prescindere dovevano essere ripartite.
L’unica soluzione possibile, l’ultimo atto di coraggio lo si dimostra perdonando se stessi.
Sarà questa l’estrema forza d’animo connaturata che una fragile e sfinita mamma potrà adottare a compimento di un atto in cui ciò che stava facendo era solo cercare di sopravvivere amando suo figlio alla follia.