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Trecentonovantadue metri di mistero: il pozzo del Merro

10 minuti di lettura

L’appuntamento con Marco Giardini è nella piazza principale dell’affascinante borgo di Sant’Angelo Romano che offre una vista spettacolare sulla Campagna romana che nei giorni limpidi spazia fino a vedere il mare. Sono qui perché a qualche chilometro c’è qualcosa che da molto tempo mi incuriosisce non poco… il “Pozzo del Merro”, il “sinkhole” che con i suoi 462 metri di profondità di cui 392 ricoperti dall’acqua, è la seconda voragine carsica più profonda del mondo, e Marco Giardini è uno dei massimi esperti di questo pozzo.

Ma chi è Marco Giardini? Laureatosi in Scienze naturali presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ha conseguito un Master in Botanica e un Dottorato di ricerca in Biologia. Esperto paleopalinologo, autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche o scientifico-divulgative, è un professionista di grande spessore, ma soprattutto un uomo che ama profondamente la sua terra e quello che la circonda.

SANT’ANGELO ROMANO – Tira vento ed è freddo e una sosta per un caffè bollente è d’obbligo. Ci fermiamo giusto il tempo per i saluti di rito nel piccolo bar della piazza. Prima di parlare del Pozzo del Merro visitiamo questo borgo di grande interesse culturale. Sant’Angelo Romano, un borgo risalente alla seconda metà del XII secolo, sorge sulla cima del Monte Patulo, uno dei Monti Cornicolani, ad una trentina di chilometri da Roma.

Percorrendo le tante piccole strade del centro si possono osservare le bellissime antiche mura, la chiesa di Santa Maria e San Biagio che domina dall’alto tutto il paese e il castello Orsini-Cesi, che purtroppo è chiuso per restauri. Peccato non poter vedere il museo preistorico e i pregevoli affreschi custoditi all’interno del castello, fatti realizzare da Federico II Cesi, Principe di Sant’Angelo e fondatore, nel 1603, dell’Accademia dei Lincei. Sembra davvero di essere nel medioevo. Un intreccio di vie e di viottoli dove il tempo sembra essersi fermato.

Salendo una piccola scala in pietra, Marco mi fa osservare un gradino di colore rosso, screziato di bianco, dove è incastonata e ben visibile, una bellissima ammonite, mollusco fossile risalente al Giurassico. “Nel centro storico ce ne erano diverse”, mi dice Marco, “ma purtroppo sono andate perdute per i numerosi ammodernamenti”. Mentre mi racconta del borgo si avverte il suo amore per questa terra… per la natura, le tradizioni, la storia, si percepisce la sua determinata volontà nel cercare di preservare, mantenere, restaurare, le testimonianze del passato. Ha avuto anche l’idea di posizionare lungo il percorso del centro storico, in collaborazione con il Comune, delle pregevoli targhe in cotto che riportano, in dialetto (con traduzione in italiano), alcuni dei proverbi della tradizione locale.

Facciamo ritorno alla grande piazza proprio quando il vento sembra essersi calmato. Ci affacciamo al belvedere e Marco indica qualcosa lontano. “… Vedi laggiù quella macchia di vegetazione? È lì fra quegli alberi che si trova il famoso Pozzo del Merro…”. Mi sembra impossibile, dopo tante ricerche e tanto tempo, di aver avuto la fortuna di incontrare Marco Giardini, esperto conoscitore non solo del Pozzo, ma anche della straordinaria flora e fauna che lo circondano. Qualche mese fa avevo letto il suo libro su Sant’Angelo e i Monti Cornicolani, e alcune considerazioni e riflessioni riportate non avevano fatto che accrescere il mio già grande interesse. “… Il Pozzo del Merro” scrive Giardini, “è un monumento naturale di eccezionale pregio scientifico e naturalistico che ha destato nel tempo, per motivi diversi, la curiosità e l’interesse di numerosi studiosi. Proprio per la sua eccezionalità, cui si contrappone una particolare fragilità ambientale, il Pozzo dovrebbe essere rigidamente tutelato e gestito nella maniera più attenta possibile, allo scopo di evitare qualsiasi alterazione di un ecosistema unico al mondo e ancora poco esplorato e conosciuto…”[1]

Non meno suggestivesono le impressioni di Federico Zeri che Giardini riporta “…Il Pozzo del Merro è un luogo il cui fascino è davvero difficile da definire. È infatti uno di quei luoghi in cui aria, terra e acqua si toccano in un silenzio assoluto; e quando la luce cade verticale negli infuocati mezzodì dell’estate laziale il luogo incute una riverenza religiosa, quasi di presenza occulta. Si ha un bel leggere e viaggiare, visitare antichi santuari o guardare statue, rilievi, affreschi e vasi dipinti; sull’essenza del Paganesimo e sul suo culto delle forze della Natura io ho appreso molto più dal “Pozzo di Merro” che non dalle Metamorfosi di Ovidio, degli scritti dell’Imperatore Giuliano o di Sir James George Fraser”.[2]

Ma credo che a questo punto sia venuto il momento di lasciare la parola a lui. Buona lettura!

L’ECCEZIONALE VORAGINE CARSICA DEL POZZO DEL MERRO – MONTI CORNICOLANI, ROMA – DI MARCO GIARDINI

Introduzione

Nei Monti Cornicolani, rilievi carbonatici mesozoici di modesta altitudine posti nella regione compresa tra il Tevere e l’Aniene a circa 30 km a nord-est di Roma, in comune di Sant’Angelo Romano, si apre la voragine carsica del Pozzo del Merro. Questo imponente sinkhole (vocabolo tecnico che indica una voragine formatasi per sprofondamento del terreno) è incluso nella “Riserva naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco”, area protetta regionale gestita dalla Città Metropolitana di Roma Capitale. Noto da sempre ai locali, compare, già nel 1890, nella descrizione di un itinerario turistico che da Roma conduce a S. Angelo, dove è citato come “una specie di voragine, nel fondo della quale si estende un laghetto ed i cui fianchi ripidissimi sono rivestiti di alberi”. Rilievi della cavità ed una dettagliata descrizione della sua parte emersa sono stati pubblicati nel 1948 da Aldo Giacomo Segre, insieme a quelli delle altre principali forme carsiche cornicolane, come ad es. i vicini Pozzo Sventatore, Grotta della Selva, dolina delle Carceri e dolina di S. Francesco e le più distanti doline denominate “I Fossi”, sul bordo meridionale del Bosco di Grotte Cerqueta, anche queste incluse nella Riserva naturale precedentemente citata. Il Pozzo del Merro è una delle evidenze più maestose dell’azione dell’erosione carsica dei Monti Cornicolani, ma la formazione di queste voragini non è una novità nell’area a nord-est di Roma. L’evento più recente si è verificato nel gennaio 2001 nei pressi di Marcellina dove, improvvisamente e senza alcun segno premonitore, si è aperto un sinkhole imbutiforme con un perimetro subcircolare di circa 40 m di diametro ed una profondità di oltre 10 m. A Sant’Angelo Romano il significato del vocabolo Merro è andato perduto ma sempre Segre provvede a ricordarlo in un lavoro sulla toponomastica dei fenomeni carsici pubblicato nel 1956. Il vocabolo mèrro o mèro, in uso in alcune parti del Lazio e dell’Abruzzo, ha proprio il significato di voragine, profonda dolina.

Aspetti naturalistici

La voragine imbutiforme del Pozzo del Merro si apre sul piano campagna (quota 150 m s.l.m.) con una bocca subcircolare di circa 150 m di diametro; la struttura si approfondisce per circa 80 metri fino alla superficie di un minuscolo ma profondissimo lago (quota 70 m s.l.m.). Che il lago del Pozzo del Merro fosse molto profondo era noto, ma le indagini effettuate in passato da Segre negli anni ’40 e da Paolo Bono negli anni ’70 per stabilire la profondità del Pozzo avevano sempre fornito risultati compresi tra i 70 e gli 80 m. Esplorazioni più recenti della parte sommersa della cavità sono state condotte inizialmente da Giorgio Caramanna (tesista del prof. Bono) e Riccardo Malatesta, che hanno effettuato nel 1999 una serie di immersioni scientifiche speleosubacquee fino alla profondità di 100 metri. Alle loro immersioni sono seguite le esplorazioni condotte in collaborazione con i Nuclei Sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Roma, Grosseto, Viterbo e Milano, che hanno messo a disposizione particolari veicoli subacquei filoguidati. L’ultima immersione del ROV (Remote Operated Vehicle), dotato di telecamere a colori e pinza manipolatrice, ha proseguito nel 2002 nell’esplorazione della cavità allagata fino alla eccezionale profondità di 392 metri (limite operativo della macchina), senza tuttavia localizzarne il fondo. Alla luce di queste esplorazioni il Pozzo del Merro risultò essere la cavità carsica allagata più profonda al mondo, poi superata nel 2016 da una cavità carsica della Repubblica Ceca.

Questa imponente cavità è posta in una regione, quella cornicolana, ancora ricca dal punto di vista naturalistico. Vi si possono infatti ancora osservare diverse aree forestali, oggi quasi tutte oggetto di tutela nell’ambito della già citata “Riserva naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco” e della ZSC (Zona Speciale di Conservazione) “Macchia di Sant’Angelo Romano”, istituita in base alla Direttiva 92/43/CEE (nota come Direttiva Habitat) e come tale facente parte della Rete europea di aree protette Natura 2000. La vegetazione naturale osservabile nei pressi dell’imponente voragine del Pozzo del Merro è costituita da una boscaglia termofila formata soprattutto da querce (Quercus pubescens), terebinto (Pistacia terebinthus) e siliquastro (Cercis siliquastrum); vi si osservano anche elementi mediterranei sempreverdi, come il viburno-tino (Viburnum tinus) e la fillirea (Phillyrea latifolia). È presente in abbondanza lo storace (Styrax officinalis, “ammella” a Sant’Angelo Romano), un arbusto di origine orientale dai fiori bianchi e profumati, unico rappresentante italiano della famiglia tropicale delle Styracaceae, presente in Italia solo nel Lazio (fondamentalmente nell’area tiburtino-lucretile-cornicolana) e in due località della Campania.

Per il suo interesse scientifico e il suo ridottissimo areale di distribuzione italiano è specie protetta nel Lazio (L. R. n° 61/1974), è stata presa a simbolo del vicino Parco naturale regionale dei Monti Lucretili e scelta come specie simbolo del Lazio dalla Società Botanica Italiana. A ridosso della voragine si possono osservare anche diverse specie di orchidee spontanee, protette, come tutte le Orchidaceae della flora italiana, in base al regolamento 338/97/CEE. Le pareti della cavità sono invece fittamente rivestite da una rigogliosa vegetazione costituita per lo più da elementi sempreverdi tra i quali il leccio (Quercus ilex), che è la specie nettamente dominante, e l’alloro (Laurus nobilis). Nel sottobosco sono abbondanti altre specie protette, come il pungitopo (Ruscus aculeatus) e i ciclamini (Cyclamen hederifolium e C. repandum). La vegetazione all’interno della cavità, rigogliosissima, ricorda talvolta, soprattutto se bagnata dalla pioggia, le foreste di alcune regioni subtropicali. A dare questa sensazione contribuiscono anche le numerose specie di felci presenti (ben sette). Nella parte più bassa della cavità, a ridosso dello specchio d’acqua, si trovano rigogliosi esemplari di fico (Ficus carica) e sambuco (Sambucus nigra), ma anche specie mesofile che testimoniano, anche al Pozzo del Merro, il fenomeno dell’inversione termica tipico delle grandi cavità carsiche.

Davvero notevole anche il valore zoologico della cavità. Questa è frequentata da numerose specie di anfibi e rettili (quasi tutte protette nel Lazio dalla L.R. 18/88) che la rendono di notevole interesse anche dal punto di vista erpetologico. Le acque della cavità ospitano stabilmente popolazioni di due specie di tritoni, il tritone punteggiato (Triturus vulgaris meridionalis) e il tritone crestato italiano (Triturus carnifex). All’interno della voragine è anche possibile osservare saltuariamente diverse specie del genere Rana, tra cui la rana appenninica (Rana italica), importante endemismo italiano, come anche il già citato tritone crestato italiano. Per il suo elevato interesse erpetologico l’area è stata proposta (dallo scrivente e da Pierangelo Crucitti) come ARER (Area di Rilevanza Erpetologica Regionale) e, come tale, riconosciuta nel 2021 dalla Societas Herpetologica Italica.

Il Pozzo è frequentato anche da numerosi uccelli, spesso difficilmente osservabili, che trovano rifugio e cibo nella folta vegetazione della voragine. Un recente studio, pubblicato nel 2017 da un gruppo di ricercatori (tra i quali lo scrivente) coordinato da Corrado Battisti, ha censito all’interno della voragine 28 specie di uccelli, la cui frequenza diminuisce scendendo all’interno della voragine, il fondo della quale è frequentato da due sole specie: il merlo (Turdus merula) e lo scricciolo (Troglodytes troglodytes). Tra le specie di maggiore interesse conservazionistico non si può non citare il pellegrino (Falco peregrinus), la cui presenza nel Pozzo può essere fortemente messa a rischio anche soltanto dal disturbo arrecato da droni o rumori molesti e ripetuti. Pochi i dati sui mammiferi, tra questa volpe (Vulpes vulpes) e istrice (Hystrix cristata).

Di particolare interesse scientifico è il ritrovamento di popolazioni di diverse specie di piccoli crostacei acquatici. Una di queste, catturata dallo scrivente, da Giorgio Caramanna e Alessandro Campanaro, è risultata essere nuova per la scienza e descritta nel 2005, da Augusto Vigna Taglianti e da Valentina Iannilli, con il nome di Niphargus cornicolanus, specie endemica di questa eccezionale, unica, cavità.

L’accesso al Pozzo del Merro, per il suo eccezionale valore scientifico, l’elevata fragilità dell’ecosistema acquatico che ospita e, soprattutto, per ragioni di incolumità pubblica, è attualmente precluso.

Considerazioni conclusive

Il sinkhole del Pozzo del Merro, che può essere considerato come una “finestra” sull’acquifero carsico dell’idrostruttura cornicolana, rappresenta una particolarità geologica ed ambientale di rilevanza mondiale. Si tratta infatti del secondo sinkhole allagato più profondo al mondo, nelle cui acque è presente almeno una specie animale nuova per la scienza (Niphargus cornicolanus), endemica del nostro paese. Sono probabilmente ancora molte le ricchezze che questa affascinante ed interessantissima cavità nasconde ancora e che devono essere svelate. È pertanto assolutamente necessario adottare tutte le precauzioni possibili per evitare qualsiasi forma di danneggiamento della struttura e di inquinamento delle sue acque. Emblematico è il caso della felce acquatica Salvinia molesta, specie esotica invasiva di origine brasiliana rinvenuta nelle sue acque da chi scrive nel 2003, fortunatamente rimossa in maniera definitiva dall’ente gestore dell’area protetta.

Eventi come questi devono essere assolutamente evitati. Sono inoltre davvero preoccupanti la crescente urbanizzazione dell’area circostante il Pozzo, nella quale si continua a costruire senza che siano mai state prese seriamente in considerazione le ricadute sugli aspetti idrogeologici nell’area, ed il crescente disturbo antropico (frequentazione eccessiva dei dintorni del Pozzo, rumori molesti prodotti da mezzi motorizzati e così via) che rischiano di danneggiare irrimediabilmente ecosistemi di grandissimo valore scientifico ancora oggi così poco conosciuti. Preoccupano altresì i progetti di “valorizzazione” che, in nome di una fruizione i cui scopi sono solo economici, rischiano di produrre danni non recuperabili, come già accaduto negli anni ’70 con il tentativo di sfruttare per scopi commerciali le acque del Pozzo. In quest’area l’impatto antropico dovrebbe invece essere ridotto il più possibile, attraverso l’attivazione di maggiori e più efficaci controlli da parte delle autorità competenti ed una oculata gestione non soltanto del Pozzo e dell’area protetta, ma del territorio nel suo insieme.

Sono tre gli elementi naturali che possono essere presi a simbolo dell’area cornicolana: dal punto di vista geologico il Pozzo del Merro, seconda cavità carsica più profonda al mondo; dal punto di vista zoologico Niphargus cornicolanus, specie endemica italiana esclusiva delle acque del Pozzo; dal punto di vista botanico Styrax officinalis, specie rara e protetta nel Lazio, presa a simbolo della regione dalla Società Botanica Italiana.

Saranno sufficienti nel nostro disastrato paese, nel quale la cultura naturalistica è praticamente nulla, questi evidentemente eccezionali valori a far mantenere integro, all’interno di un’area protetta, il Pozzo del Merro?

Credits foto: CaLuMa / Marco Giardini / Giorgio Caramanna


[1] Di: Marco Giardini e Giorgio Caramanna in: “Sant’Angelo Romano, (Monti Cornicolani, Roma), a cura di Marco Giardini, 2012”. Il Pozzo del Merro: storia delle ricerche e situazione attuale, pag. 270

[2] Federico Zeri su “La Stampa”, 1985. Citato da Marco Giardini e Giorgio Caramanna (Il Pozzo del Merro: storia delle ricerche e situazione attuale), in: “Sant’Angelo Romano, (Monti Cornicolani, Roma)”, a cura di Marco Giardini (2012), pag. 267.

[3] Marco Giardini, laureato in Scienze Naturali, dottore di ricerca in Biologia, insegna di Scienze Naturali e Chimica presso l’Istituto d’Istruzione Superiore Via Roma 298 Guidonia. Collabora con il Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Roma Sapienza, dove svolge attività di ricerca. È socio di numerose società scientifiche, associazioni culturali e ambientaliste. È autore di circa 250 pubblicazioni tra libri, opuscoli, curatele, lavori in atti di convegni e su riviste scientifiche nazionali e internazionali. Si occupa, a livello locale, di studio, valorizzazione e salvaguardia dell’ambiente naturale dei Monti Cornicolani e del nord-est romano, nonché del dialetto e delle tradizioni popolari del suo paese di nascita.


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