Il 9 maggio 1978 il corpo di Aldo Moro viene ritrovato senza vita all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma. Un punto scelto strategicamente dalle BR, a metà strada tra le sedi di PCI e DC. La notizia travolge anche il Liceo Berto di Mogliano Veneto, che sceglie di interrompere le lezioni e portare tutti gli studenti in aula magna ad assistere all’edizione straordinaria del telegiornale.
VENEZIA – A sedici anni hai per la testa tante cose, ma se sei cresciuto negli “anni di piombo” sai anche che il mondo può essere un posto dove un adolescente può sognare e ridere con gli amici, mentre qualcuno da qualche parte viene assassinato dalle Brigate Rosse o dalla Mafia.
Sono le 9 del mattino del 16 marzo 1978 quando, a Roma, i brigatisti tendono un agguato all’auto di Aldo Moro e a quella della sua scorta. All’incrocio tra via Fani e via Stresa avviene una carneficina: i cinque uomini al seguito di Moro vengono “annientati” – come scriveranno le BR nel primo comunicato – in pochi secondi. Si chiamano Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino.
Aldo Moro, invece, viene sequestrato.
“Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, è stata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l’accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste”. Primo comunicato delle BR.
Per 55 giorni l’Italia intera resta col fiato sospeso. A scuola se ne parla, a casa se ne parla, ma a 16 anni – per quanto un adolescente possa essere coinvolto e informato – la vita scorre comunque. A farti restare nel presente, giornali e telegiornali che informano costantemente gli Italiani sui giorni di prigionia dell’onorevole, scanditi dai comunicati stampa delle BR e dalle lettere scritte di proprio pugno da Moro, indirizzate sia a personaggi politici come Craxi, Zaccagnini, Cossiga e Andreotti sia alla famiglia.
“Ti abbraccio forte, Noretta mia, morirei felice se avessi il segno della vostra presenza, sono certo che esiste, ma come sarebbe bello vederla”. Lettera ritrovata postuma che le Brigate Rosse non hanno mai consegnato.
È il 9 maggio 1978 quando il mondo si ferma. Anche e soprattutto quello di noi studenti del Liceo Scientifico di Mogliano, non ancora dedicato a Giuseppe Berto.
Perché succede qualcosa per cui ogni adolescente dovrebbe essere grato. La scuola decide di interrompere tutte le lezioni e portare gli studenti in aula magna ad assistere all’edizione straordinaria del telegiornale.
Una lezione di educazione civica estemporanea e illuminata.
Una “fotografia” scattata dalla mente e dal cuore che è rimasta indelebile nella memoria. In quel momento si sarebbe potuto scegliere di dare la notizia in classe, parlando ai ragazzi. Oppure tacere e lasciare che fossero le famiglie ad avvisare, proseguendo le attività scolastiche come in una “normale” giornata di lezione che normale, però, non era più.
Invece si è scelto di accompagnare le giovani menti affidate alle “mura” del liceo lungo un percorso di attenzione, condivisione e informazione.
Il ruolo della scuola dovrebbe essere proprio questo, sempre e comunque. Anche se non può proteggere dalle insidie della vita, può però provare ad allargare l’orizzonte oltre una funzione matematica o una versione di latino.
Per quelli di noi che arrivavano dal centro di Mestre e da Carpenedo – ed eravamo tantissimi – sarebbe stata anche una palestra di vita, preludio agli attentati terroristici del 1980 che nessuno potrà mai dimenticare.
Il 29 gennaio 1980 il vicedirettore del Petrolchimico Sergio Gori viene ucciso da un commando delle Brigate Rosse. La lapide in ricordo dell’omicidio è circa a metà di viale Garibaldi. La mattina del 12 maggio 1980 l’allora capo dell’antiterrorismo di Venezia, Alfredo Albanese, viene attaccato da un gruppo di uomini armati quasi sull’uscio di casa, in via Comelico, a due passi da casa mia. Morirà in ambulanza durante il trasporto all’ospedale Umberto I. Stava indagando sull’omicidio di Sergio Gori.