Il nostro lettore Dario Dessì ha condiviso con noi alcune note sulla storia di Mogliano Veneto del 1918 e sui tragici eventi della Grande Guerra, riportati alla luce dopo circa vent’anni di ricerche
Dopo la ritirata di Caporetto, quando il territorio di Mogliano Veneto si era ritrovato a essere zona di retrovia, a poca distanza dal fronte del Basso Piave, fu presto scelto quale sede ideale di numerosi ospedali militari. Naturalmente esisteva una certa distinzione tra Ospedaletti da campo e Ospedali da campo; questo perché certe strutture dovevano essere smontate e rimontate in brevissimo tempo in modo da essere disponibili nell’adattarsi alle fasi delle ritirate o delle avanzate.
La differenza consisteva anche sulla capienza delle due strutture: 100 posti letto per gli ospedaletti, identificati da una numerazione progressiva 001 a 099, 200 posti per gli ospedali, identificati da 100 a 200. Tutti i numeri vennero però modificati sul finire del 1917, proprio quando Mogliano Veneto fu scelta quale località idonea alla sistemazione dei seguenti ospedali:
1) Apparteneva alla Repubblica di S. Marino l’Ospedale 74, a servizio della III Armata. La prima sede era vicino ad Aquileia. Dopo Caporetto fu trasferito a Strà. Il 10.04.1918 l’Ospedale è a Melma e quindi a Silea. Poiché si trovava sotto il tiro dei grossi calibri austriaci, venne spostato a Preganziol. Durante l’estate fu trasferito in villa Gris a Mogliano, poi a villa Condulmer e infine a Villa Volpi.
2) Villa Gris ospitò un Ospedale da Campo.
3) Villa Bianchi divenne Ospedale su richiesta del Prefetto del Comune di Mogliano. Nel locale Istituto dei Padri Salesiani c’era l’Ospedale da Campo n. 235.
4) Il 22 novembre 1917 arrivò l’Ospedale da Campo n. 017, con sede nelle Scuole Elementari Rossi.
5) L’ Agenzia Bertolini diventò la sede di un ospedale.
6) La C.R.I. risiedeva a Villa Volpi.
7) A Villa Tanga aveva la sua sede la Croce Rossa Americana.
8) Nelle scuole di Campocroce c’era l’Ospedale da Campo n. 101.
9) La Canonica di Zerman ospitava l’infermeria del 226° Reggimento Fanteria.
In uno ospedaletto nella Marca Trevigiana
Si cercavano le tracce di un ufficiale della Brigata Sassari, ferito il primo giorno dell’offensiva Albrecht (16 giugno 1918 – fronte del Basso Piave tra Musile e Fossalta di Piave) Si cercava in tutti gli ospedali della zona, ubicati in antiche ville veneziane e in moderne scuole, tutti riconoscibili da una bandiera bianca con al centro una croce rossa. Tutti gli ospedali erano gremiti da fanti con ferite più o meno gravi; giacevano in candidi letti attorniati da medici e infermiere impegnati a cercare di lenire le
devastanti tracce della battaglia.
Tutto era stato preparato e ben organizzato ma l’offensiva Austro-ungarica manifestatasi più irruenta in un settore piuttosto che in un altro, la necessità di escludere da certe strade ogni traffico che non fosse quello delle riserve da impiegare senza ulteriori indugi, aveva ostacolato e sconvolto l’attività del soccorrere.
Un ospedaletto per mesi inoperoso in un giardino impreziosito da statue di divinità mutilate e che qualche volta aveva accolto qualche infermo afflitto da patologie dovute alla presenza di acque stagnanti e insalubri, era diventato improvvisamente la meta di autoambulanze che trasportavano in continuazione feriti e moribondi dai luoghi dove infuriava la battaglia. Dentro le sale i letti e le brande si toccavano ravvicinati, mentre i feriti si ritrovavano gomito a gomito a delirare così come quando erano stati intenti a
combattere e questo rifugio di dolore distava pochi chilometri dalle postazioni di combattimento nei presi della stazione di Fossalta.
Le ferite emanavano un lezzo opprimente, appena attenuato dall’odore delle sostanze anestetizzanti, ma subito rinnovato da un nuovo arrivo di carni doloranti e tutto ciò non poteva non suscitare una presa di coscienza dell’asprezza della battaglia. In questo
ospedale era stato ricoverato un gruppo di feriti appartenente a un battaglione d’assalto, il cui comandante, il capitano Abbondanza già ferito e decorato a Valbella sull’ Altopiano di Asiago, aveva voluto combattere anche sul fiume Piave, dove era
riuscito a giungere, a combattere e a scomparire.
Adesso i suoi soldati giacevano in quell’ospedale feriti, piagati, indocili, smaniosi. Una infermiera torinese, piccola, rosea e alacre raccontava della situazione difficile che aveva causato la loro degenza: “Non ascoltano ragioni, arrivano in ambulanza o
in bicicletta; se la ferita lo permette; entrano trafelati, loquaci, con una certa aria aggressiva e una pretesa di far presto. Sono fanterie d’assalto! Vorrebbero che ci fosse una chirurgia d’assalto”.
Improvvisamente si ode un canto di quattro voci; una nenia melanconica con improvvisi acuti che assomigliano a singhiozzi. Erano quattro fanti della Brigata Sassari, colpiti da una granata vicino a Capo d’ Argine. Non avevano alcuna certezza della loro guarigione e pertanto continuavano a cantare per non gridare.
Da Giornate sul Piave di E. Maria Gray