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Non ci resta che il ranking

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Sfuma la qualificazione anticipata ai prossimi Giochi Olimpici della nazionale italiana femminile di pallavolo. La sconfitta con la Polonia per 1 a 3 (25-15; 24-26; 23-25; 21-25) è l’ultimo tassello di un romanzo distopico scritto a più mani da ogni parte si guardi.

Qui non è questione di allenatori da divano, di tecnici social, di schieramenti pro o contro chiunque. È stato scritto – e si scriverà – di tutto sulla nazionale italiana di volley femminile, sulle giocatrici, sull’allenatore, sulla Federazione. Insomma, non si salva nessuno.

Facile, da casa o alla tastiera di un pc.

Per scrivere di questo disastro (quasi) annunciato bisognerebbe averlo respirato davvero, il volley.

Bisognerebbe aver vissuto lo spogliatoio, le dinamiche, le persone, la gestione delle atlete – e, credetemi, uno spogliatoio femminile di qualsivoglia sport non è proprio cosa per tutti – ma anche e soprattutto della comunicazione.

Il primo Mikasa l’ho preso in mano a 14 anni.

Da lì in poi, tra partite giocate prima, squadre (maschili) seguite come addetto stampa poi, eventi internazionali, unica donna nella prima Commissione Mass Media Lega Pallavolo Serie A, di volley ne ho masticato un bel po’.

E ne ho sentite di tutti i colori, in campo e fuori.

Tipo un allenatore esonerato dopo sette partite vinte consecutivamente perché ai giocatori non stava bene. Quella volta, col cuore in mano, un vecchio presidente prese una decisione difficilissima. Ascoltò la squadra.

E allora la domanda sorge spontanea: se tre dei pilastri di una nazionale che ha fatto innamorare l’Italia intera – e che ha vinto moltissimo – si espongono in prima persona palesando il proprio disagio nei confronti del CT, arrivando a dire “O lui, o noi”, la Federazione qualche perplessità avrebbe potuto averla?

Vogliamo pensare che sì, l’abbia avuta e abbia fatto la propria scelta.

E l’ha fatta confermando un allenatore che aveva raccolto le ceneri di una squadra quasi inesistente dopo Rio 2016, va ricordato, portandola a un argento e un bronzo mondiale, un oro europeo e una vittoria in VNL.

credits foto Federvolley

Poi il “caso” Egonu, la gogna mediatica, le dichiarazioni che sarebbe stato meglio sviscerare “a palazzo” e non sui giornali.

Il Mazzanti “prima versione” non si discute. È un tecnico preparato e ha dato molto al movimento. Ma non è detto – e torniamo alle sette partite vinte consecutivamente, a un esonero e a un presidente lungimirante – che quello che andava bene due anni fa andasse bene sei mesi fa.

Le dinamiche cambiano, gli equilibri mutano, le giocatrici sono persone che possono vedere oltre più di qualsiasi dirigente. E (non sempre) sono capricci da prime donne.

Un CT è fondamentale, in una squadra – leggi De Giorgi, Santarelli, il buon “vecchio” Velasco – ma solo se riesce a creare un gruppo forte, a essere primus inter pares, ottenendo la stima e il rispetto delle giocatrici.

Ed è davanti agli occhi di tutti che l’esposizione di Moki De Gennaro e Caterina Bosetti, tanto per citarne due, gridava a gran voce che qualcosa si era rotto.

E se dopo un mondiale il CT afferma di “non aver più in mano la squadra”, ai vertici federali sarebbe stato opportuno prenderne atto e trovare una (im)probabile “quadra”.

In tutto questo, la “star” Paola Egonu, su cui si è detto e scritto anche troppo, senza rispetto alcuno per la sua vita e la sua figura di atleta, ha fatto un bagno di umiltà pazzesco accettando la panchina come “seconda scelta” dietro la giovane Antropova.

E questa sarebbe la star? Quella che mette se stessa e la sua immagine davanti a tutti?

Tu te lo senti quando non hai più in mano lo spogliatoio”, dice una mia carissima amica ex allenatrice di calcio femminile. “Senza contare che devi avere piena consapevolezza che allenare atlete donne è decisamente diverso da una compagine maschile, c’è poco da fare”.

L’esperimento De Giorgi è andato bene per mille fattori. Fuori Ivan Zaitsev e Osmany Juantorena, il nostro Fefè poteva comunque contare su Giannelli, Galassi e tanti giovanissimi che hanno fatto dell’essere squadra una famiglia. Un ricambio generazionale che ha funzionato alla grande.

Eccola, la differenza abissale.

Se penso al Mazzanti prima gestione vedo un gruppo di atlete straordinarie cui non serviva parlare, bastava uno sguardo.

Siamo passati alle dichiarazioni più disparate delle giocatrici – e qui, ribadisco, sarebbe stato importante un altro tipo di comunicazione – fino a quel “non sapevo cosa fare” che è stata, almeno per me, l’emblema della fine di un’era.

Sempre grazie a Davide Mazzanti per quello che, assieme alle giocatrici, ha saputo dare al volley nazionale in questi ultimi anni.

A gran voce tutti chiedono le dimissioni di tutti.

Per quanto mi riguarda, sogno il ritorno del Dream Team, ovvero De Gennaro, Fahr, Pietrini, Danesi, Egonu, Sylla, Chirichella, Orro, Malinov.

Con l’aggiunta di qualche giovane tipo l’Antropova: giocare insieme alla Egonu (se c’è riuscito Santarelli con la Turchia) più che un bisticcio di ruoli potrebbe risultare pura poesia.

E a gestire uno spogliatoio tutt’altro che facile, ne siamo consapevoli, uno che ha saputo gestire soggetti a dir poco singolari caratterialmente, ma impareggiabili in campo, tanto da meritare l’imperituro appellativo di “fenomeni”.

Insomma, più che piangere, non ci resta che il ranking.

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