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Heysel 38 anni dopo: una ferita ancora aperta

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Sono passati 38 anni dalla tragedia dello Stadio Heysel in cui morirono 39 tifosi italiani. Questa mattina al Museo del Calcio un incontro per onorarne la memoria.

COVERCIANO – 29 maggio 1985. La Juventus gioca contro il Liverpool nello stadio Heysel, a Bruxelles, la terza finale di Coppa dei Campioni della sua storia. È la Juventus di Trapattoni con Platini, Boniek e dei campioni del mondo Scirea, Tardelli, Paolo Rossi. Una squadra di fuoriclasse. Ma i bianconeri non hanno mai avuto fortuna con le finali, avendo già perso quella del 1973 contro l’Ajax e quella del 1983 contro lo sfavorito Amburgo.

L’atmosfera nelle strade della città è molto calda sin dal mattino. Circa un’ora prima della partita i tifosi sono già presenti allo stadio. Gli Hooligans inglesi iniziano a spingere sempre di più le recinzioni per riuscire a entrare nel settore dei tifosi juventini.

Una volta sfondata la rete, gli italiani si ammassano sempre più verso il muro, che a un certo punto crolla, schiacciando chi ci era sotto. Molti vengono calpestati, altri si lanciano nel vuoto.

Si era appena consumata una delle più gravi tragedie del panorama sportivo, non solo italiano: nel fuggi fuggi generale 39 persone non fecero più ritorno a casa, vittime della strage scaturita dagli incidenti sugli spalti. Oltre 600 feriti.

La partita venne giocata ugualmente, anche se con un’ora di ritardo, per le pressioni dell’UEFA e del governo belga che temevano ulteriori disordini.

In occasione dell’anniversario di quella tragedia, oggi al Museo del Calcio si è tenuto un incontro per tenere vivo il ricordo di quanto avvenne, alla presenza anche dei ragazzi e delle ragazze di tre scuole superiori per coinvolgere le nuove generazioni su un argomento così drammatico.

La cultura del ricordo e della memoria – sottolinea il presidente federale, Gabriele Gravinaè l’unico antidoto al dolore e il modo migliore per continuare ad onorare le vittime della tragedia dell’Heysel, che rappresenta, ancora oggi, una ferita aperta per il mondo del calcio. Lo sport che più amiamo è gioia ed emozione, non può e non deve essere occasione di lutto e di sofferenza”.

In apertura il presidente della Fondazione Museo del Calcio, Matteo Marani ha commentato: “Il dovere del Museo del Calcio è di ricordare e di mantenere il ricordo su quella tragedia. Nella storia dello sport, purtroppo, non ci sono solo le pagine belle, ma anche le tragedie e tra queste quella dell’Heysel è una delle pagine più nere del calcio italiano”.

Davanti alla giovane platea, che in un composto silenzio ascoltava il drammatico racconto di quella giornata belga, sono intervenuti anche il presidente dell’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel, Andrea Lorentini; il direttore del Centro Tecnico Federale di Coverciano, Maurizio Francini, e l’ex difensore della Juventus, che prese parte a quella sfida, Sergio Brio, oltre al giornalista e scrittore Francesco Caremani, che ha indagato a lungo sulla “strage” dell’Heysel, come ha tenuto a sottolineare con una parola ricca di significati.

Il racconto e i commenti dei presenti si sono alternati mentre accanto al bancone degli oratori era esposta la maglia azzurra numero 39, ritirata in occasione del trentesimo anniversario della tragedia, quando nel 2015 la Nazionale italiana è andata in Belgio per un’amichevole, proprio in quello stadio teatro degli scontri e che oggi è intitolato a ‘Re Baldovino’.

Era per me doveroso essere qui oggi” ha commentato Sergio Brio e Andrea Lorentini ha sottolineato come “Il Museo del Calcio sia il luogo migliore per ospitare un evento del genere. Con la nostra associazione portiamo avanti la memoria, senza che sia fine a se stessa”. Maurizio Francini, anche in qualità di ex stadium manager della Fiorentina, ha parlato invece degli aspetti di gestione durante un evento sportivo, ricordando come purtroppo “nel 1985 non c’era l’organizzazione che abbiamo oggi per la sicurezza negli stadi”.

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