Di buon mattino e di prima lena il controllo degli stati di WhatsApp ci appare come un comportamento lesto e repentino ma anche quello di una vera e propria azione di cui non si puó fare a meno.
E questo è un altro film, oggi non siamo a caccia di antropologia e dintorni e nemmeno di sociologia spiccia, abbiamo altresí una premura che è quella di comprendere come siamo finiti in una buca alta e spessa, quasi invalicabile.
Che é poi quella ribattezzata “stati di WhatsApp“ e merita il virgolettato quanto il grassetto, oh yeah. 30 secondi di contenuti multimediali come Gif, testi o semplicissime fotine che hanno uno scopo ben preciso, mostrare all’altro dove sei, cosa fai, che pensi. Tanto dopo 24 ore sconfinano nell’oblio se non li si cancella bruscamente prima.
Un piccolo frame autoreferenziale che piace alla gente che piace? Senza scomodare uno degli slogan più boomer del secolo scorso forse un modo di mostrarsi in diretta, come uno degli ultimi ritrovati, gli stati vocali.
Ma è lo “stato d’ansia degli stati“ quello che conta, tanto da sorprenderci sfrucugliare l’amico che posta un viaggio da urlo o cassare la coppia appena conosciuta che dispensa consigli da disperdere.
Farsi i fatti dei tuoi contatti proprio mentre gli stessi si fanno i tuoi, evidenziando le famose reazioni che paiono antesignane figure in stile assiro babilonesi, che ti fanno la posta indefessa.
Per poi scoprire che un personaggio tra i tuoi latitante da anni, ha scrutato il tuo stato. É il segnale inequivocabile che ti ha ripreso nel mirino e domani ti chiamerà.
E anche questo ti manda in ansia, “stato d’ansia di WhatsApp”,
Zero Biscuit di Mauro Lama