Oltre 100 femminicidi in Italia nel 2023. Il 63% delle donne uccise non aveva mai denunciato gli abusi da parte del partner. La Riforma Cartabia ha accelerato i processi, ma la giustizia è ancora troppo lenta.
Giulia Cecchettin, di soli 22 anni, è stata uccisa per mano del suo ex fidanzato (anch’egli 22enne), che starebbe rientrando in Italia dopo essere stato arrestato dalla Polizia tedesca. Probabilmente invidioso, non sopportava di vederla avere successo, di vederla libera e forte. Quello di Giulia è solo uno degli ultimi casi di cronaca nera che ha scosso l’Italia, l’ultimo recente nome aggiunto alla lista delle vittime di femminicidio registrate in Italia: oltre 100, da inizio anno.
Dati della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio evidenziano che il 63% delle donne rimaste uccise non aveva mai denunciato gli abusi da parte del partner. È una piaga, quella della violenza di genere, che sembra impossibile da sconfiggere, nonostante gli sforzi messi in campo negli anni.
“Dobbiamo impegnarci per far cambiare le cose, affinché Giulia sia l’ultima di questa terribile e lunghissima lista di violenze dal tragico epilogo. Non si può più permettere alle donne di andare da sole all’appuntamento chiarificatore, il cosiddetto ‘ultimo appuntamento’, perché quasi sempre è un rischio per la loro vita. Anche la famiglia e coloro che sono vicino a queste donne devono imparare a riconoscere i campanelli d’allarme e intervenire, anche se non è la vittima a chiederlo, per il suo bene – commenta l’Avvocato Valentina Ruggiero, esperta da oltre trent’anni in diritto di famiglia e casi inerenti alla violenza sulle donne.
In che modo si dovrebbe intervenire? “Innanzitutto culturalmente, parlando di queste tematiche nelle scuole di ogni ordine e grado. È importante far comprendere che la violenza, sia fisica o verbale, è sempre sbagliata. Ovviamente c’è bisogno di un cambiamento anche in ambito famigliare, e sta a chi subisce la violenza cercare di reagire e allontanarsi subito, al primo schiaffo o alla prima umiliazione. Anche il resto della famiglia, però, deve essere attento a carpire i campanelli di allarme, a denunciare e ad aiutare la donna a venire via, offrendole sostegno se non ha i mezzi economici”.
La questione del dove andare se si abbandona il contesto famigliare violento non è semplice e lo scenario si complica ancora di più se di mezzo ci sono i figli: non tutte le donne possono contare su una rete di amici e parenti a cui confidare la propria situazione. Considerando poi che, anche avendone l’opportunità, entra in gioco la vergogna che blocca l’ammissione della situazione che si sta vivendo.
L’ultima rilevazione ISTAT parla di 34.500 richieste da parte di donne in difficoltà, quasi il 62% delle quali del totale con figli.
Riforma Cartabia: buoni propositi ma tempi lunghi
C’è anche un altro aspetto su cui è necessario intervenire tempestivamente: i tempi della giustizia sono ancora troppo lunghi, nonostante i buoni propositi della Riforma Cartabia. Prosegue infatti l’Avvocato Ruggiero, snocciolando numeri che necessitano di essere rivisti: “Oggi dopo una denuncia ci vuole circa un anno, un anno e mezzo prima che si arrivi al processo, e questo può durare anche due anni. Per ottenere un’udienza ci vogliono almeno due mesi. Inoltre, la procedura è ancora troppo articolata per rendere le cose davvero più veloci”.
Insomma, se sulla carta sembrerebbero esserci tutti gli strumenti, poi bisogna fare i conti con il numero insufficiente di giudici, con la burocrazia e le risorse inadeguate.
Mostra “Femminicidio 2015-2023”: risvegliare le coscienze
Tra cinque giorni ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tanti sono gli eventi di sensibilizzazione al tema, promossi in tutta Italia. A Mogliano Veneto, per esempio, è in corso una mostra a cura di Paola Volpato, dal titolo “Femminicidio 2015-2023“, in cui l’artista ha rappresentato i volti delle donne uccise dal 2015 ad oggi. I loro sguardi, i loro occhi vivi o dolenti, hanno una profonda carica psicologica e colpiscono l’osservatore, rendendolo partecipe al dolore delle vittime.
La mostra è un appello alla responsabilità dei singoli, delle istituzioni, delle agenzie educative, e si pone l’obiettivo di risvegliare le coscienze sulla necessità di una cultura che rompa definitivamente con vecchi stereotipi, che operi sul rispetto e sul cambiamento di modelli, femminili e maschili.