Le feste natalizie, tripudio di gioia e gaiezza, sono ancora il periodo dell’anno in cui ci si ritrova a finire di lavorare fino a tardi per finire un progetto prima delle feste, mentre ci si piange addosso perché non si è ancora scritto una cartolina d’auguri (figuriamoci comprati i regali), il tutto coronato da messaggi incessanti che indagano sull’organizzazione della cena natalizia, che si è insistito ospitare a casa propria, con un amaro retrogusto di “come ho potuto farmi questo”. E se questo Natale provassimo a essere un po’ più zen?
Partiamo dai regali. Ce n’è veramente bisogno? La bella notizia, è che non c’è mai solo una via. Per esempio, quest’anno si potrebbe incitare la famiglia a scegliere ciascuno solo un altro parente a cui fare un regalo, in modo intelligente, nella maniera che tutti ricevano qualcosa, ovviamente. Al di là delle vie alternative, il Natale è un momento tosto della nostra serenità per via delle alte aspettative che abbiamo nei suoi confronti. Questo è probabilmente più evidente nel caso del perfezionismo ossessivo: se siete persone che considerano il Natale accettabile solo se tutto procede esattamente secondo i piani – nessun litigio in famiglia (chissà poi se a qualcuno succede davvero), i bambini eccitati per i regali, le patate arrosto croccanti al punto giusto – sicuramente resterete delusi. E la vera causa della vostra delusione non sarà come sono andate le cose nella realtà, ma la perfezione impossibile che vi aspettavate. Dopotutto, non c’è niente di intrinsecamente sbagliato nelle patate arrosto mollicce. L’errore ce lo aggiungete voi, come il sugo dell’arrosto.
La maestra zen Charlotte Joko Beck una volta ha detto: “Quello che rende un dolore insopportabile è la convinzione sbagliata di poterlo eliminare”. Una delle sue implicazioni è che i problemi della vita non sono solo la conseguenza di come sono le cose, ma di come pensiamo che dovrebbero essere. Se non le volessimo diverse, non avremmo problemi. E di alcuni problemi non ce ne possiamo mai liberare veramente, possiamo fare finta di dimenticarcene o metterli da parte per un momento, ma loro rimangono là. Anche se molti finiscono per risolversi da sé, in modo anche migliore che nel caso che fossimo intervenuti, alcuni assomigliano più a una urbana, grigio topo metafora quotidiana di “Il Mago di Oz”, dove la protagonista, Dorothy, per uscirne, ci deve passare attraverso, e deve farsela andare bene così.
La grande intuizione dello zen, e di diverse altre tradizioni culturali, è che la causa di ogni tipo di sofferenza potrebbe essere proprio questa, la continua pretesa che la realtà sia diversa da come è. In poche parole, è meglio non avere aspettative. Perciò l’inizio della libertà psicologica, per citare lo scrittore zen John Tarrant, consiste nel chiedersi: “Aspetta un momento, e se le cose stessero così e basta?”.
Il modo più facile di interpretare questa intuizione è che forse è possibile risolvere qualsiasi problema – un profondo dolore, la più estrema povertà – decidendo semplicemente di non preoccuparsene. Il modo meno facile di interpretarla è ricordare che, davanti a qualsiasi problema, di qualsiasi gravità, è sempre utile chiederci se, in modo inconscio, non stiamo opponendo resistenza alla realtà delle cose, o pensando che la nostra felicità dipenderà dal fatto che in futuro saranno molto diverse. Questo è il buddismo spiegato in pillole. Nel suo libro Already free lo psicoterapeuta Bruce Tift ci consiglia di chiederci come sarebbe continuare a vivere tutta la vita con i nostri grandi problemi. E se rimanessimo sempre single o non trovassimo mai un lavoro gratificante, o non smettessimo mai di trovare irritante una cosa che fa il nostro partner? La cosa più bella del fatto che la realtà è una condizione incurabile è che non dobbiamo preoccuparci di curarla. Tift dice di non avere mai problemi nel suo matrimonio, ma solo perché non considera più un problema provare tumulti emotivi, cosa che gli capita tutti i giorni.
Perfino le persone che si assumono un ammirevole grado di responsabilità nei confronti dei loro “problemi”, spesso covano la segreta speranza che, con più tempo a disposizione e più impegno, potrebbero liberarsene una volta per tutte.
Ma, e se rimanessimo sempre uguali? Quanta parte di qualsiasi problema è il problema? E quanta parte è il semplice fatto che è ancora lì quando, maledizione, alla nostra età dovremmo essercene liberati?
Una volta accettato che i battibecchi in famiglia sono uno degli aspetti tipici del Natale, in fondo scopriamo che possono essere perfino carini (tranne quando non lo sono, e anche questo va bene). La cosa più bella del fatto che la realtà è una condizione incurabile è che non dobbiamo preoccuparci di curarla.
Basato sull’articolo “A Natale e nella vita è più saggio avere un atteggiamento zen” di Oliver Burkeman.