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Autonomia del Veneto: luci e ombre di un percorso in salita

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Di seguito pubblichiamo un pensiero di Simonetta Rubinato, Presidente dell’ass. “Veneto Vivo”, in merito all’autonomia della Regione del Veneto.

 
Bene le dichiarazioni espresse il 13 giugno scorso dal Ministro Stefani e dal Governatore Zaia di voler accelerare i tempi per l’autonomia del Veneto, ma perché escludere a priori che il Veneto possa diventare come Trento? La volontà popolare sancita dal referendum del 22 ottobre scorso, unita alla grande maggioranza di voti espressi dagli elettori veneti nelle elezioni del 4 marzo a favore di Lega e M5S, esige una risposta all’altezza delle aspettative, ovvero il riconoscimento alla nostra Regione della specialità, come io stessa avevo chiesto nel 2015 alla Camera, con un emendamento alla riforma costituzionale. Restando inascoltata, perché allora non c’era ancora stato il voto di 2,3 milioni di Veneti.
 
Veneti che ora attendono i primi risultati concreti di questa battaglia. Li attendono dal Governo Conte, il premier che su questi temi non ha ancora manifestato pubblicamente il suo pensiero. Durante il primo discorso fatto alle Camere, infatti, da lui nessun riferimento a riforme per migliorare l’assetto delle nostre Istituzioni: nessun accenno agli Enti locali (eppure sono i più vicini ai bisogni dei cittadini), né al federalismo. L’unico riferimento all’autonomia è riservato alle Regioni speciali (peraltro unito al tema ‘sistema di voto all’estero’: un lapsus freudiano?).
Cito dal suo discorso: “Ci adopereremo per salvaguardare le Regioni ad autonomia speciale, del Nord e del Sud del Paese, nella convinzione che la prossimità, la sussidiarietà e la responsabilità, ove localmente concentrate, possano contribuire a migliorare la qualità di vita dei nostri cittadini”. Nessun accenno invece all’autonomia delle Regioni ordinarie.
Accortisi evidentemente di questa grave omissione, su input dei parlamentari leghisti, il Premier ha dovuto correggere il tiro con una rassicurazione nel suo intervento di replica. Per il resto una relazione con solo principi e obiettivi generalissimi, molti ovviamente condivisibili, ma nessuna indicazione programmatica operativa. Se il premier Conte fosse stato il Sindaco di un qualsiasi Comune avrebbe avuto l’obbligo di presentare al Consiglio Comunale le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato, tenendo conto anche della sostenibilità finanziaria all’interno del sistema di bilancio dell’ente locale. Ma il primo cambiamento del ‘Governo del cambiamento’ non avrebbe potuto essere proprio questo?
 
Segnali incoraggianti per la battaglia dei Veneti arrivano invece dalla Corte dei Conti. “La ripartizione dei flussi finanziari dallo Stato alle Regioni deve tenere conto del principio per cui le entrate tributarie maturate in un territorio debbono in una parte sostanziale essere destinate ai bisogni di quel territorio. Il collegamento fra prelievo fiscale e territorio può ritenersi utile a recuperare il rapporto fra cittadini ed istituzioni. La restante quota si definisce di coesione, in quanto volta a consentire la copertura dei servizi generali e degli oneri di solidarietà nazionali”. A dirlo è stato martedì 26 giugno scorso il Presidente dell’organo di magistratura contabile, citando proprio i referendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia. Un anno fa esprimevo il medesimo concetto nel mio libro La Spallata: “Il nodo politico da affrontare è stabilire un rapporto più equo tra quello che i Veneti versano all’erario e ciò che rimane sul territorio, non solo per rispondere ai loro bisogni, ma anche come stimolo di una maggiore crescita”. È alquanto sintomatico che la Corte dei Conti abbia compreso la questione più di tanti esponenti politici. La dice lunga su quanto sia in salita la strada per ottenere l’agognata autonomia.

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